Poesie Italiane
Inedite
Di Dugento Autori
Dall' Origine Della Lingua
Infino Al Secolo Decimosettimo
Raccolte E Illustrate
Da Francesco Trucchi
Socio Di Varie Accademie.
Volume II.
Prato,
Per Ranieri Gausti
1846
Transcription Gap: pages [2]-4 (not relevant)
Sul finir del mille dugento una strana e pazza frenesia, non mai per l'innanzi
udita, si apprese a molta bona genta. Uomini e donne, vecchi e giovani, scapoli e accompagnati,
senza distinzione di età, di sesso, e di condizione, proposero tutto ad un tratto di
volersi vivere in povertà, e non solo in povertà, in miseria; e vi furon
di tali che spinsero tant'oltre il pazzo loro disegno, che fingendosi più miseri, e
più mentecatti che non erano, colle vesti lacere e sudico, e con modi e atti da
menni e da pazzi, andavano in cerca di chi li vituperasse e li battesse, e li caricasse di
scherni, d'ingiurie e di obbrobri d'ogni maniera. Nelle loro canzoni chiamavano
virtù santa, virtù divina la povertà, e somma sapienza il
divenir pazzo per amore di Gesù. Costoro, non facendo distinzione tra la turpe
miseria, a cui si davano in preda, e il disprezzo delle ricchezze terrene, di cui parla il
Vangelo, credevano in tal modo rendersi più accetti al Signore. La brutta e laida
miseria, che tante volte assale chi a tutto suo poter la detesta e la fugge, non è a
dire come presto ghermisce e afferra chi solo per poco la desidera, e come l'incatena a doppie
ritorte al suo lurido carro, sì che mai più gli sfugga dai sozzi artigli.
Ond'è che molte famiglie andavano in precipizio e in perdizione, e ne seguivano
abusi, disordini, lamenti e noie per le città e le campagne. I disordini che ne
seguirono ben tosto produssero una reazione nell'opinion pubblica; ed i più
assennati cominciarono a dir sommessamente che questa pazza adorazione della povertà
era sovvertitrice d'ogni buon ordine
e d'ogni buon costume. Lo spirito
di questa reazione ebbe due solenni interpreti ad un tempo, il più gran filosofo e
il più grande artista del secolo, Guido Cavalcanti e Giotto. La canzone di Guido si
trova a stampa con le altre sue poesie; quella di Giotto è rimasta finora inedita e
sconosciuta, e solo se ne trova a stampa dove tre o quattro versi, e tutto al più
una stanza. Non parlo della recente pubblicazione fattane dal tedesco Rumhor, la quale
è tanto scorretta, che non se n'intende verso. La trovai manoscritta in due codici,
uno riccardiano, col titolo: ‘Canzone di Giotto’, e uno laurenziano,
proveniente dalla Gaddiana, col titolo: ‘
Iocti dipintoris’. E l'uno e l'altro codice son mancanti di qualche verso. Però
io ho cercato di correggere uno coll'altro i due codice, collo scegliere la miglior lezione; e
siccome si tratta di un monumento prezioso delle lettere e delle arti italiane, ho creduto
avvertire con note a piè di pagina le varianti dei codici, affinchè il
discreto lettore giudichi da se stesso, e scelga la lezione che più gli aggrada. Chi
vuol conoscere la vita e le opere di Giotto, si trova diffusamente scritta da Giorgio Vasari,
con quell'amore delle arti e degli artisti che ognuno sa. Egli nacque nella villa di
Vespignano, quattordici miglia vicino a Firenze, circa all'anno 1276, e morì l'anno
1336. Egli fu grande amico di Dante Alighieri, di cui dipinse con grand'amore il ritratto nella
cappella del palazzo del podestà; e Dante fa di Giotto un grand'elogio, e lo
rammenta con grande onore nella Divina Commedia. ‘Fu Giotto, dice il Vasari,
ingegnoso e piacevole molto, e ne' suoi motti argutissimo, de' quali n' è ancor
viva la memoria in questa città`’.
Nel codice del Redi, in foglia, si trova un sonetto d'incerto autore, del tempo di
Giotto e di Guido, contro la povertà, che contiene il medesimo sentimento, espresso
colla medesima energia.
- O povertà, di ciascun vizio regno,
- Fontana di tristizia e di dolore,
- Tu se' principio di lite e rancore,
- E sol per te virtù riceve sdegno.
- Non val saper chi teco sta, ne sdegno,
- Amicizia li tolli, e metti errore;
- Tu fai l'uomo omicida e traditore,
- Furto, rapina, ed ogni reo disegno.
E finalmente termina con una coda di due versi, che percuotono di fronte il pregiudizio:
Cristo ti doni a chi ti brama,
E faccia tristo chi
virtù ti chiama.
Affinchè il lettore possa immediatemente aver sott' occhio la diversa
maniera con cui Giotto e Guido han trattato il medesimo soggetto, mi giova riferir qui due
stanze della canzone di Guido Cavalcanti.
- O povertà, come tu sei un manto
- D'ira, d'invidia e di cosa diversa!
- Così sia tu dispersa,
- E così sia colui che ciò non dice.
- Io dico sol per soddisfarmi alquanto,
- Di te, o sposa d'ogni cosa persa,
- Per la quale è sommersa
- D'onor al mondo ogni viva radice.
- Tu, privazion d'ogni stato felice,
-
10Tu fai la morte altrui sempre angosciosa.
- Bizzarra, disdegnosa,
- Tu, più che morte per ragion odiata,
- E nel voler d'ogni animo privata.
- Con ragion più che morte se' fuggita,
- Sol perchè morte ogni uom tardo la spera:
- Ma di te, crudel fera,
- Mai non si vide cosa giusta e diva.
- La morte può ben l'uom privar di vita,
- Ma non di fama, e di virtute altera;
-
20Anco felice e vera
- Riman perpetual nel mondo, e viva.
- Ma chi a tua foce sconsolata arriva
- Sia quanto vuol magnanimo e gentile,
- Che pur tenuto è cile.
- E perciò chi nel tuo abisso cala,
- Non speri in alcun pregio spander l'ala.
- Molti son que'
1 che lodan povertade,
- E ta' dicon
2che fa stato perfetto,
- S' egli è approvato e eletto;
- Quello osservando, nulla cosa avendo
3.
- A ciò inducon certa autoritade
4,
- Che l'osservar sarebbe troppo stretto
5;
- E pigliando quel detto,
- Duro estremo mi par, s' i' ben comprendo
6;
- E però no 'l commendo
7;
-
10Che rade volte stremo è senza vizio
8:
- E a ben far difizio
- Si vuol sì proveder dal fondamento
9,
- Che per crollar di vento,
- O d' altra cosa, così ben si regga
10,
- Che non convenga poi si ricorregga
11.
Transcribed Footnote (page 8):
1) Molti son quei. Codice Riccardiano.
Transcribed Footnote (page 8):
2) E tali dicon fa. Codice Laurenziano.
Transcribed Footnote (page 8):
3) nulla costi avendo. C. R.
Transcribed Footnote (page 8):
4) altoritate. C. L.
Transcribed Footnote (page 8):
5) sarebbe molto stretto. C. L.
Transcribed Footnote (page 8):
6) Duro e tremo si mostra com' io stendo. C. L.
Transcribed Footnote (page 8):
7) è però non commendo. C. L.
Transcribed Footnote (page 8):
8) Che rade volte estremo sanza vizio. C. L.
Transcribed Footnote (page 8):
9) Questi due versi mancano nel C. R.
Transcribed Footnote (page 8):
10) Od altra cosa sì che ben regga. C. R.
Transcribed Footnote (page 8):
11) Che non convenga poi che si corregga. C. R.
- Di quella povertà ch' è contro a voglia
- Non è da dubitar ch' è tutta ria,
- Che di peccar è via,
- Facendo ispesso a giudici far fallo;
-
20E d' onor donne e damigelle spoglia;
- E fa far furto, forza e villania;
- E ispesso usar bugia
1,
- E ciascun priva d'onorato istallo:
- E in piccolo intervallo,
- Mancando roba, par che manchi senno,
- S' avesse rotto Brenno
2
- O qualvuolsia, che povertà lo giunga,
- Tosto ciascun fa punga
3
- Di non voler che incontro
4 gli si faccia,
-
30Che pur pensando già si turba in faccia.
- Di quella povertà
5, ch' eletta pare,
- Si può veder per chiara esperienza
- Che senza usar fallenza
- S' osserva o no, non sì come si conta;
- E l' osservanza non è da lodare,
- Perchè discrezion nè conoscenza,
- O alcuna valenza
- Di costumi o virtudi le s'affronta.
- Certo parmi grand' onta
-
40Chiamar virtute quel
6 che spegne il bene;
- E molto mal s' avviene
- Cosa bestial preporre alle virtute
- Le qua; donan salute
7;
Transcribed Footnote (page 9):
1) E molto usar bugia. C. R.
Transcribed Footnote (page 9):
2) S'avesse morto renno. C. R.
Transcribed Footnote (page 9):
3) Però ciascun fa punga. — Vale: si sforza.
Punga
per pugna, sforzo, lotta, è usata da Dante Alighieri.
Transcribed Footnote (page 9):
4) Di non voler che innanzi. C. L.
Transcribed Footnote (page 9):
5) Dell'altra povertà. C. R.
Transcribed Footnote (page 9):
6) Chiamar virtù quello. C. R.
Transcribed Footnote (page 9):
7) Le quali sono salute. C. R.
- Ad ogni savio intendimento accetta:
- E chi più vale, in ciò più si diletta.
- Tu potresti qui fare un argomento:
- Il Signor nostro
1 molto la commenda.
- Guarda che ben l'intenda
2,
- Che sue parole son molto profonde,
-
50E talor hanno
3 doppio intendimento,
- E vuol che 'l salutifero si prenda.
- Però 'l tuo viso sbenda,
- E guarda 'l ver che dentro vi s'asconde
4;
- Tu vedrai che risponde
- La sua parole alla sua santa vita,
- Ch' è podestà compita
- Di sovvenir
5 altrui a tempo e loco;
- Che però 'l suo aver poco
- Si fu per noi
6 scampar dall'avarizia,
-
60E non per darci via d'usar malizia
7.
- Noi veggiam pur col senso molto spesso
- Chi più tal vita loda manca in pace,
- E sempre studia e face
- Come da essa si possa partire.
- Se onori o grande istato gli è concesso,
- Forte 'l'afferra
8, qual lupo rapace,
- E ben si contraface.
- Pur che possa suo voler compire
9;
- E
10 sassi sì coprire,
-
70Che 'l peggior lupo par miglior agnello,
Transcribed Footnote (page 10):
1) Il nostro Signor. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
2) che ben s'intenda. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
3) E in loro hanno. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
4) che dentro si nasconde. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
5) Di soddisfar. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
6) Tu per noi. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
7) Questo verso manca nel C. G.
Transcribed Footnote (page 10):
8) l'afferma. C. G.
Transcribed Footnote (page 10):
9) suo voler coprire. C. R.
Transcribed Footnote (page 10):
10) Manca nel C. R.
- Sotto 'l falso mantello:
- Onde per tale ingegno è guasto 'l mondo,
- Se tosto non va a fondo
- L'ipocrisia, che non lascia parte
1
- Aver nel mondo
2, senza usar sua arte.
- Canzon, va, e se trovi de' giurguffi,
- Mostrati lor, sì che tu li converti:
- Se pure stessono erti,
- Sie gagliarda, che sotto li attuffi
3.
Transcribed Footnote (page 11):
1) che alcuna parte.
Transcribed Footnote (page 11):
2) Non lascia il mondo. C. G.
Transcribed Footnote (page 11):
3) che sotto li tuffi. C. R.
Transcription Gap: pages 12-19 (not relevant)
Questo nome giunge affatto novo nel numero dei nostri poeti. Il sonetto che di lui
si pubblica è tratto da un testo a penna riccardiano. Simone fiorì al
principio del trecento, e fu amico di Gregorio di Arezzo, poeta anch'egli, al quale indirizza
il sonetto. La illustre famiglia fiorentina degli Antellesi fu mai sempre di fazione guelfa.
Nel sonetto mi pare che si alluda all'imperator Arrigo VII, principe di grandi concetti, e di
grandi virtù politiche, tanto lodato da Guido Cavalcanti, da Dante Allighieri e da
Dino Compagni; il quale, a sommossa de'ghibellini, venne in Italia nel 1312, e, dietro i
consigli e la guida di Dante Allighieri e di Giano della Bella, intendeva farsi riconoscere
signore di tutta Italia, e rialzare e ricostituire l'impero romano. Se non che, tirato dai suoi
consiglieri tedeschi a vari partiti, ora alla guerra di Lombardia, ora all'impresa di Toscana,
ora alla guerra di Napoli, non ne condusse a buon termine alcuno; ma ricevendo ad ogni passo
continue opposizioni e molestie, e gravi danni dalla lega dei guelfi, dopo aver inutilmente
assediate Brescia e Firenze, travagliato e infermo di animo e di corpo, si ridusse nell'agosto
1313 ai bagni di Bonconvento nel senese, ove morì, con gran festa di tutti i guelfi,
ma lasciando un gran desiderio di se a tutti i ghibellini italiani.
- Per quella via che l'altre forme vanno
- Alla immagine mia repente corre
- Quel pellegrin che edifica la torre
- Dove venti con venti si disfanno.
- E per partirsi da mondano affanno,
- Quivi si pensa 'l pellegrin riporre;
- E non s'avvede di colei che 'l torre
- Guata alla mente pace e darle danno.
- Ambizion nemica, che pur trai
-
10Questo folletto peregrin per via,
- Che dov' è sommo ben non giunge mai,
- Abbandona costui, che si disvia
- Da se per te, come pe' sterpi assai
- Non puote andar com' e' dove si sia,
- Che tal dinanzi, tal diretro 'l piglia:
- E così colli sterpi s'accapiglia.
Transcription Gap: pages 22-36 (not relevant)
Di Niccolò Degli Albizzi
- Fratel , se tu vedessi questa gente
- Passar per Roma tutti isgominati ,
- Con visi neri gialli e affumicati ,
- Diresti : dell' andata ognun si pente .
- Le panche suonan sì terribilmente
- Quando son giù dal ponte in qua passati ,
- Volgendo gli occhi a guisa d' impiccati ,
- Nè ’n dosso , in capo , in piè hanno niente .
- Le coste anco vedresti , e tutto ossame
-
10De' loro cavalli , e le lor selle rotte
- Hanno ripiene di paglia e di strame .
- E si vergognan , che passan di notte ;
- Vannosi inginocchiando per la fame ,
- Trottando e saltellando come botte .
- E le loro armi tutte
- Anno lasciate per fino alle spade ;
- E stan cheti com' uom quando si rade .
Transcription Gap: pages 38-48 (not relevant)
Note: Author: Incerto Trecentista (An Anonymous 14th Century Writer)
- Non per ben ch' i' ti voglia ,
- Nè per ch' abbia vaghezza
- Di veder tua bellezza ,
- Ma i' ti guardo per far altrui doglia .
- Che s' altri pensa ch' i' sia innamorato
- Di tua persona bella ,
- Ad altra donna i' ho il cor donato ,
- Che par un angiolella ;
- E tutto son di quella ,
-
10Perch' ell' è di bellezza
- E sì di gentilezza
- Compiuta , più ch' ogn' altra alla mia voglia .
- Ell' è negli atti vaga , e costumata ,
- E leggiadra , e onesta ;
- Non isprezzando te , che chi ti guata ,
- Tu piaci più che questa .
- Ma a cui piace una vesta ,
- E a cui piace un' altra :
- A me piace quest' altra .
-
20Però voglio amar lei , e sia che voglia .
- Non per ben ch' i' ti voglia ,
- Nè per ch' abbia vaghezza
- Di veder tua bellezza ,
- Ma i' ti guardo per far altrui doglia .
Transcription Gap: pages 50-159 (not relevant)
Transcription Gap: top of page (not translated by DGR)
Note: Author: Incerto Trecentista (An Anonymous 14th Century Writer)
- La bella stella che sua fiamma tiene
- Accesa sempre nella mente mia ,
- Lucida e chiara già del monte uscìa .
- Meraviglia'mi assai ; ma il signor grande
- Disse : nostra virtù tal luce spande .
- Quando in sogno mi parve esser condotto ,
- Per
1 un gran sire , in bel giardino adorno
- Di bianchi gigli di sotto e d' intorno .
Transcribed Footnote (page 159):
1) Da .
Transcription Gap: pages 160-165 (not relevant)
Note: Author: Incerto Trecentista (An Anonymous 14th Century Writer)
- Quando l' aria comincia a farsi bruna ,
- E appare la stella ,
- Apparvemi una donna molto bella .
- Ben la conobbi alla sembianza onesta :
- Amor per lei m' ancise ;
- Ond' io per farle onor l' andai . . .
- Cambio ti renda iddio del ben che fai .
- Com' io rimasi , no 'l potre' dir mai .
Transcription Gap: pages 166-169 (not relevant)
Transcription Gap: top of page (not translated by DGR)
Note: Author: Incerto Trecentista (An Anonymous 14th Century Writer)
- Augelletto selvaggio per stagione
- Dolci versetti canta con bel modo .
- Tal e tal grida forte , ch' io non l' odo .
- Per gridar forte non si canta bene ;
- Ma con soave e dolce melodia
- Si fa bel canto ; e ciò vuol maestria .
- Pochi l' hanno , e tutti fan da maestri ,
- Fan madrigali , ballate , e mottetti ;
- Tutti infioran filippotti e marchetti .
-
10Sì è piena la terra di magistroli ,
- Che loco più non trovano i discepoli .
Transcription Gap: rest of page (not translated by DGR)
Transcription Gap: pages 171-173 (not relevant)
Nacque in Firenze da Benci di Uguccione della nobil famiglia Sacchetti, verso il
1335. Nei suoi verdi anni attese allo studio delle buone discipline, e si rese famigliari i
classici scrittori latini e toscani Ben tosto incominciò a manifestare il suo
ingegni nelle graziose ballate e nei madrigali, ed altre poesie d' amore, che in quel tempo
compose, le quali furono dai più valenti maestri che allora fiorissero poste in
musica. La sua ballata
‘Non creder, donna, che nessuna
sia’
fu posta in musica da m. Francesco degli Organi. La ballata
Sovra la riva d'un corrente fiume,
da ser Lorenzo. La caccia
Passando con pensier per un boschetto,
da ser Niccolò. La ballata:
Or sia che può,
come a voi piace, sia,
da don Paolo: tutto maestri contemporanei del poeta. Fatto adulto, si applicò
al commercio, e per questo fine andò a stare per qualche tempo in Ischiavonia.
Scrisse colà una canzone, che comincia:
S'io mai peccai per far contra 'l superno,
Or n'ho la
penitenza:
ove descrive i laidi costumi dei barbari schiavoni.
. . . duri, e
di materia grossi,
Sì forte, che con mazze non son mossi.
E quel che più gli duole, a lui, fiorentino, poeta, e innamorato, si
è di non avere colà donne belle e gentili, da far all'amore;
perchè le schiavone paiono a lui tutte
Nere, scontorte, e
fuor di bello indizio.
Dimodochè, essendo egli innamorato di una ch' è di tutte le donne
diva, si vive in pena, e prova un grande e intollerabile tormento, dovendo, a suo dispetto,
Veder si brutta gente a faccia a faccia.
Tornato a Firenze, vicino alla sua diletta, scrisse molte poesie di amore, piene
di dolcezze, e di leggiadra, e di nobili e dilicati sentimenti, espressi con somma
felicità di stile e con tutta la grazia della toscana favella. Venne ben tosto in
fama di ottimo poeta; e scrisse diverse canzoni politiche, i di cui titoli sono questi.
‘ Quando Urbano quinto e Carlo di Luzimborgo passarono di concordia in Toscana,
facendo guerra a Firenze’ ; ‘ Sopra molte e diverse fantasie occorenti
l'anno 1378’ ; ‘ Per lo malo stato di tutta Italia nel 1380’.
Scrisse ancora oltre le trecento novelle, le poesie edite, e quelle da noi citate, alcuni
trattati e capitoli; e sono:
Trattatello delle proprietà degli
animali.
Trattatello delle proprietà e virtù delle
pietre preziose.
Ragionamenti di morale evangelica tratti dai Santi Padri.
Capitolo dei re di Sicilia.
Capitolo dei re di Media.
Capitolo dei re di Persia.
Discendenza di re Carlo I.
Progenie di Francia Reale.
Discendenza di Carlo Magno.
Discendenti di Ugo Ciappetta.
La
storia di Carlo I, duca d'Angiò.
La storia dei Papi.
E molte
altre poesie erotiche, politiche, e filosofiche, scritte con gran purità ed eleganza
di lingua, le quali tutte son giunte sino a noi, e si possono leggere manoscritte: le quali
opere, edite ed inedite, da me viste, riunite, formerebbero quattro grossi volumi. Non
potendole inserir tutte nella mia raccolta, ho scelto, per saggio della sua maniera, le due
caccie, e una bellissima frottola o serventese; le due forme di poesia nelle quali
più felicemente riusciva.
Franco Sacchetti fu savio e prudente cittadino, e delle cose di stato ebbe
profonda cognizione; e ottenne la stima e la benevolenza dei suoi concittadini. Sostenne varie
cariche onorevolmente. Nel 1383 fu degli Otto di Guardia; lo stesso anno fu de' Priori; nel
1385 andò ambasciatore della sua repubblica a Genova. Fu podestà di
Bibbiena, e poi di s. Miniato: nel 1398 fu capitano della Romagna toscana. Ebbe amicizia e
tenne corrispondenza col Boccaccio, al quale indirizzava un sonetto: ‘Quando fama
corse lui (Boccaccio) esser fatto frate nella Certosa di Napoli’. Tenne
corrispondenza con molti letterati e con molti grandi personaggi del suo tempo. Astorre
Manfredi, signor di Faenza, a lui volle commettere per qualche tempo il reggimento del suo
stato. E passato il tempo che, secondo i capitoli, doveva cessare il suo governo, Franco,
desiderando ancora continuar per qualche tempo nell'ufficio, scrisse un sonetto al signor di
Faenza, pregandolo a volerglielo prorogare per altri sei mesi. In quel tempo i principi
italiani, o poco o molto, eran tutti poeti. E Astorre Manfredi rispose incontanente per le
stesse rime un altro sonetto, il quale, se era brutto in principio e nel mezzo, era bellissimo,
sopratutto per Franco, nel fine, poichè chiudeva epigrammaticamente con questo
verso:
Sei mesi aggiungo al vostro reggimento.
Scrisse con pari eleganza in latino e in toscana, in prosa e in versi. Ebbe tre consorti;
Felice degli Strozzi la prima, Ghita Gherardini la seconda, e la terza Nannina di Santi Bruni.
E, benchè poeta, le seppe coltivare tutte tre, e tanto amò la prima
quanto la terza e la seconda, e si fece amare tanto dalla terza quanto dalla seconda e dalla
prima. Morì poco dopo il 1400.
Note: Indentation in this poem is not rendered precisely; please refer to the page image. Note
that the superscript “a” in line 11 is missing, a typographical
error.
Note: Author: Franco Sacchetti
- Poeta . Passando , con pensier , per un boschetto ,
- Donne per quello givan fior cogliendo
- Con diletto : to' quel , to' quel , dicendo
1 .
- 1
aFanc. Eccol, eccol !
- 2
aFanc. Che è ?
- 1
aFanc. È fior d' aliso .
- 2
aFanc. Va là per le viole .
- Più colà per le rose . Còle
c`le
2 .
- 1
aFanc. Vaghe ! amorose
3! Oimè
che 'l prun mi punge !
-
10Quell' altra mi v' aggiunge .
- 2 Fanc. Ve' , ve' ! che è quel che salta ?
- 1
aFanc. Un grillo ! Un grillo !
- 2
aFanc. Venite qua , correte :
- Raponzoli cogliete .
- 1
aFanc. Eh ! non son essi !
- 2
aFanc. Sì , son . — Colei , o colei ?
- Vien qua , vien qua per funghi : un micolino
- Più colà per sermollino .
Transcribed Footnote (page 177):
1) Il Perticari legge : co' quel , dicendo . Il Villarosa : to' quel , ec.
Transcribed Footnote (page 177):
2) coglile .
Transcribed Footnote (page 177):
3) Int. le rose .
- 1
aFanc. Noi starem troppo , che ’l tempo si turba :
-
20Ve' , che balena e tuona ,
- E m' indovino che vespero suona .
- 2
aFanc. Paurosa ! non è egli ancor nona .
- E vedi e odi l' usignuol che canta
- Più bel ve' , e più bel ve' .
- 1
aFanc. I' sento non so che .
- 2
aFanc. O dove è ? dove è ?
- 1
aFanc. In quel cespuglio .
- Poeta . Ognun qui picchia ,
- Tocca e ritocca .
-
30E mentre il bussar cresce ,
- Una gran serpe n' esce .
- Oimè trista ! oimè lassa ! oimè !
oimè !
- Gridan , fuggendo di paura piene :
- Ed ecco che una folta pioggia viene .
- Timidetta già l' una all' altra urtando
1 ,
- E stridendo s' avanza :
- Va fuggendo e gridando .
- Qual sdrucciola , qual cade ,
- Qual si punge lo piede
2 .
-
40Per caso l' una appone lo ginocchio
3
- Là ve' reggea lo frettoloso piede :
- E la mano e la vesta ,
- Questa di fango lorda ne diviene ;
- Quella è di più calpesta .
- Tal , ciò che ha colto lassa , e tal percote ,
- Nè più si prezza , e pel bosco si spande .
- De' fiori a terra vanno le ghirlande ;
- Nè si sdimette per unquanco il corso
4 ;
Transcribed Footnote (page 178):
1) Questi tre seguenti versi mancano nel testo del Villarosa .
Transcribed Footnote (page 178):
2) Questo verso manca nel testo del Perticari .
Transcribed Footnote (page 178):
3) Questi sei seguenti versi mancano nel testo del Villarosa .
Transcribed Footnote (page 178):
4) Questo verso manca nel testo del Villarosa .
- In cotal fuga e ripetute rote ,
-
50Tiensi beata chi più correr puote .
- Sì fiso stetti sin
1 ch' io le
mirai ,
- Ch' i' non m' avvidi , e tutto mi bagnai .
Transcribed Footnote (page 179):
1) Il Perticari legge : il dì ch' io le mirai . Ma pare doversi preferir la
lezione del Villarosa : insin ch' io la mirai ; da noi adottata .
Transcription Gap: 179-184 (not relevant)
Note: Author: Franco Sacchetti
- State su , donne ; che debbiam noi fare ?
- Il più bel tempo non si vide mai .
- Gittate gli arcolai ,
- I naspi con le rocche ;
- Non siate sciocche ,
- Che cucia nessuna .
- Orsù , orsù ! Ad una ad una
- Per le man si pigliaro ,
- Tutte , cantando , ad un fiume andaro ,
-
10Andaro , andaro ,
- All' acqua , all' acqua ;
- Alzate alle ritonde
- Su per l' onde ,
- Corrono al mulino :
- O , mugnaio , o , mugnaio ,
- Pesami costei ;
- Pesa anche lei .
- Questa pesa cento :
- E quella ben dugento .
-
20Tu se' una grassa .
- Che ti vegna fracassa .
- Tu se' pur tisicuccia .
- Che ti crepi la buccia .
- O fanciulle , o fanciulle ,
- A casa ritorniamo .
- Sul monte andando ,
- Scontra un villano ,
- E grida : piglia ! piglia !
- Al ladro ! al ladro !
-
30O Vannello , o Lapino ,
- Che è ? che è ?
- Il lupo se ne va col mio agnello .
- A quel romor ristrette ,
- Vennon sì verso me le giovinette ,
- Che se apparito fosse il lupo , forse
- Presa era tal da me , che a me ricorse .
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